Di Guido Tiberga, tratto da Fumo di China n° 73, del novembre 1999. (Grazie all’autore per per questa riproduzione online dell’articolo.)
Una città sopra un’altra città. Una Venezia immaginaria al di sopra di quella vera, con i canali ricavati dalle grondaie, i monumenti, le calli, i negozi, i giardini e le scuole. Abitata da uccelli, buoni o cattivi proprio come la gente che abita le città “normali”. Tornare ai cartoni animati era il sogno antico di Romano Scarpa, e la serie Sopra i tetti di Venezia, ventisei episodi da ventisei minuti ciascuno realizzato a Torino dalla Lanterna Magica di Enzo d’Alò e a Parigi negli studi di France Animation, rappresenta una specie di sogno nel sogno.
Il progetto, infatti, giaceva da anni nei cassetti di Scarpa: al punto che uno dei bozzetti è finito addirittura sullo storico volumetto che Luca Boschi dedicò sul finire degli anni Ottanta al più creativo dei Disney italiani. Quarant’anni di fumetto non sono basatti per dimenticare il primo amore: “Io sognavo di lavorare nell’animazione dal giorno in cui vidi per la prima volta Biancaneve — confida Scarpa dalla sua casa rifugio nelle Baleari —. Ho amato Disney da subito, il mio obiettivo segreto era lavorare con lui”.
Negli studios di Burbank, Scarpa ci sarebbe andato lo stesso, molti anni più atrdi. Come fumettista, invitato dagli americani e ufficialmente complimentato da Carl Barks. “Il fumetto mi ha dato tanto — ricorda — ma è un lavoro solitario. Nei cartoni animati, invece, è diverso: si lavora in gruppo, si viene a contatto con artisti dalle professionalità più diverse: d’Alò, ad esempio, non è un disegnatore. Ma sa pensare il cinema, riesce a far muovere i personaggi nella sua mente. Per me è stata un’esperienza straordinaria…”.
Il protagonista del cartone è il piccione Wiggy, un piccolo fornaio dal talento investigativo. E per quanto possa essere paradossale in una serie fatta di animali parlanti, colombi e gabbiani che lottano con un falco che cerca di conquistare la città, la vicenda non è priva di aspetti autobiografici: “Per me disegnare un fornaretto veneziano, sia pure con il becco e le ali, è stato come ritornare all’infanzia — racconta Scarpa —. Io sono cresciuto nel forno della mia famiglia: da piccolo sapevo impastare e cuocere il pane, e i miei primi disegni erano sempre sporchi di farina. Mio padre non ha voluto che io facessi il suo lavoro: troppo faticoso, diceva, così mi ha obbligato a studiare…”.
Il debutto di Romano Scarpa nell’animazione permetterà di sciogliere almeno due curiosità diverse: la prima sta nel vedere impegnata su personaggi originali una delle matite che hanno legato la loro fama ai character Disney. La seconda è di natura opposta: valutare fino a che punto la tradizione dell’animazione “made in Burbank” possa aver influenzato il lavoro di un artista comunque legatissimo ai modelli iconografici. Scarpa, al proposito, se la cava con una risposta diplomatica: “Walt Disney? Quando si lavora nei cartoni animati si cerca sempre di fare qualcosa di diverso. Ma il suo genio, ormai ci ha condizionati tutti…”.
Sopra i tetti di Venezia, tuttavia, è un’opera profondamente italiana non solo per la location veneziana della serie. Quella di Scarpa è infatti una realtà particolare anche sul piano storico: il tempo degli episodi è quello di oggi, e gli uccelli parlanti non mancano di utilizzare telefonini e altri oggetti della tecnologia contemporanea, ma le categorie sociali appartengono al passato: dal doge in giù. “L’idea è stata mia. Basta che nessuno mi accusi di essere un sostenitore dei Serenissimi…”.
L’autore scherza, ma non ha dimenticato le polemiche che seguirono alla pubblicazione di una sua celebre storia a fumetti: Minnotcha, la parodia del film anticomunista di Lubitsch che nel ’92 attirò su Scarpa e sulla Disney gli strali polemici della sinistra parlamentare italiana. “Oltre tutto — continua — il progetto risale agli Anni Ottanta, quando a queste cose non ci pensava nessuno. Piuttosto, il mio è un omaggio a un’anima particolare della laguna. Venezia ha un solo, grande difetto: i suoi abitanti non sopportano i piccioni, che pure danno un contributo irrinunciabile al fascino di piazza San Marco. Questo cartone è il mio modo di chiedere scusa…”.